La vicenda prende il via da una voce misteriosa: a Haber viene concesso solo una settimana per fare ordine nella propria vita, nei ricordi, nei sogni — prima di un incontro ineludibile. Tra confessione e visione, “Volevo essere Marlon Brando” fonde realtà e immaginazione, intrecciando ironia, malinconia e poesia. In scena si sviluppa un ambiente “camerino” carico di oggetti e memoria, e figura anche una presenza femminile enigmatica: specchio, coscienza o guida.
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